| 

Introduzione alla storia del secondo Novecento italiano

L’Italia, dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, fu uno stato molto difficile da collocare a livello politico.

Dopo aver dichiarato guerra alla Francia nel 1940, durante il governo fascista di Benito Mussolini, e aver combattuto per tre anni a fianco dell’Asse tedesco e giapponese, con la caduta del governo mussoliniano (il 25 luglio 1943) e l’armistizio con gli alleati (8 settembre 1943), essa abbandonò la Germania di Hitler e si alleò con le forze militari degli stati nemici del totalitarismo nazista: USA, URSS (Unione Sovietica, già Russia) e Gran Bretagna.

Dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, l’ordine del pianeta mutò: se prima erano gli stati colonialisti europei a guidare l’economia dei continenti (ad esempio Francia e GB), dal 1945 in avanti iniziò il processo di decolonizzazione (termine che significa che gli stati asiatici e africani si liberarono dal controllo dei loro antichi proprietari) e il mondo si divise in due blocchi di influenza: quello occidentale, guidato dagli Stati Uniti (liberale, liberista, fondato sulla libera concorrenza), e quello orientale (guidato dall’Unione Sovietica, ispirato ai principi dell’economia socialista, in cui tutti devono – o dovrebbero – essere uguali).

Questa contrapposizione fra ideologie così distanti produsse, fra il 1946 e il 1989, la cosiddetta Guerra fredda, una guerra diplomatica e, fortunatamente, mai militare (il cui culmine fu, nel 1962, la crisi dei missili inviati a Cuba dall’URSS, che produsse una forte reazione americana e indusse il mondo a credere di essere sull’orlo della terza guerra mondiale) nella quale si contrapposero i due blocchi: gli alleati USA (attorno all’alleanza militare definita NATO) contro il blocco degli alleati URSS (attorno all’alleanza militare chiamata Patto di Varsavia).

L’Italia, liberata dalle truppe anglo-americane, venne governata, nel dopoguerra, da forze politiche appartenenti ai principali partiti che avevano ispirato la resistenza al fascismo e al nazismo: il partito Comunista (guidato da Palmiro Togliatti), il partito Socialista (guidato da Pietro Nenni) e il partito dei cattolici italiani (Democrazia Cristiana), guidato da Alcide De Gasperi.

Siccome mancavano fondi per ricostruire tutte le nazioni europee dopo i bombardamenti, occorreva fare una scelta di campo tra un sistema economico ispirato all’ideologia socialista e un altro ispirato a quella liberista.

Se, il 2 giugno 1946, l’Italia votò con un referendum la trasformazione istituzionale da Monarchia a Repubblica, con le elezioni del 1948 furono i partiti moderati, di centro, ovvero la Democrazia Cristiana, a vincere; i comunisti e i socialisti (uniti nel Fronte nazionale), pur molto forti (con circa il 31% delle preferenze), furono costretti ad accomodarsi tra le opposizioni parlamentari. Ciò piacque molto agli USA, spaventati dal ruolo del comunismo italiano, molto vicino ai russi: data la posizione fondamentale, politica ed economica, dell’Italia nel Mediterraneo, una vittoria comunista nella nostra nazione avrebbe rappresentato una grave sconfitta per gli USA, estromettendoli dal controllo di un’importante fascia del territorio europeo e mediorientale.

Per evitare una simile eventualità, gli USA si organizzarono per sostenere in qualunque modo i partiti moderati e anticomunisti d’Europa: non solo arrivarono in Italia i soldi del piano Marshall dopo il 1948 (un piano economico di sostegno, a fondo perduto, delle economie dei paesi distrutti dalla guerra), ma la CIA e il Vaticano coinvolsero gli anti comunisti italiani in una serie di iniziative volte a conservare l’ordine sociale e ad ostacolare l’accesso a politici di estrema sinistra nei luoghi del potere civile.

Al sud ripresero con maggior forza le clientele politiche (soprattutto attorno all’area democristiana) e la concessione di appalti a famiglie mafiose che, con i loro voti, sostennero il partito cattolico di centro (sarà Leonardo Sciascia, scrittore siciliano, a descrivere questa situazione nel romanzo Il giorno della civetta del 1961).

A nord, per paura di un’eventuale invasione comunista (soprattutto dopo la rivolta antisovietica in Ungheria, nel 1956), la CIA e lo Stato organizzarono una struttura paramilitare definita Gladio, con la quale, in caso di invasione sovietica in Italia, i moderati avessero la possibilità di fronteggiare i comunisti e resistere loro. Nel parlamento, nacquero gruppi e partiti molto vicini all’estrema destra fascista (ad esempio il Movimento Sociale Italiano guidato da Giorgio Almirante), che cercarono di allearsi, negli anni ’50 e ’60, con i governi a guida democristiana.

Durante gli anni del boom economico (1958-68) e della grande emigrazione delle persone dal sud verso il nord industrializzato, in Italia scoppiarono proteste e lotte operaiste e proletarie a favore degli ultimi e dei più poveri (soprattutto in concomitanza con il 1968); in quegli anni nacquero movimenti anarchici e di estrema sinistra (Brigate Rosse, BR; Lotta Continua) cui si contrapposero, quasi sempre in modo illegale, movimenti formati da estremisti neofascisti (come i Nuclei Armati Rivoluzionari, definiti NAR).

Quando, all’interno della Democrazia Cristiana, i politici filoamericani vennero contestati da un’ala progressista e più vicina all’area socialista (uno dei politici democristiani sostenitori di questa visione fu Aldo Moro, che fece entrare al governo dapprima il partito socialista, nel 1963, e poi quello comunista, nel 1978), iniziò la stagione delle stragi in Italia, una stagione che la magistratura ha provato essere stata favorita dalla CIA e dai servizi segreti italiani, militari e civili, infiltrati da diversi membri corrotti o antidemocratici.

Insieme ai moti di Reggio Calabria contro il governo e al tentato colpo di stato di stampo fascista organizzato dal principe Junio Valerio Borghese (entrambi del 1970), la prima azione dura contro lo Stato fu la strage di piazza Fontana, alla Banca Nazionale dell’Agricoltura  del 12 dicembre 1969: in questo caso, esplose una bomba in pieno centro a Milano che portò alla morte di 14 persone. La matrice della strage, per la gran parte della magistratura e della pubblica opinione, sembrò quella anarchica: le indagini seguirono questa pista ma si trovarono ben presto ad un punto morto.

L’anarchico Giuseppe Pinelli, arrestato dal commissario Luigi Calabresi, cadde dal secondo piano della questura di Milano e morì durante l’interrogatorio; questo fu il preludio ad una nuova stagione di violenza, che porterò, nel 1972, alla morte dello stesso Calabresi, ucciso per strada da alcuni membri appartenenti a Lotta Continua (tra cui Adriano Sofri, attualmente giornalista e opinionista di varie testate).

La reale matrice dell’attentato alla banca milanese, come è stato in seguito accertato, fu neofascista, ma ancora oggi le carte che riguardano gli autori e i mandanti sono state poste sotto segreto dallo Stato (per motivi a noi ignoti). Gli scontri sociali si intensificarono lungo tutti gli anni ‘70 e portarono la sinistra e la destra eversiva a scegliere due strade diverse: la prima, con le Brigate Rosse, effettuerà omicidi, gambizzamenti e attentati diretti ai cosiddetti nemici del popolo (magistrati, poliziotti, politici, giornalisti); la seconda sceglierà invece attentati dinamitardi, con bombe ed esplosivi al plastico, tutti molto cruenti e plateali.

In entrambi i casi si parla di Strategia della tensione o di Anni di piombo: un insieme di azioni violente organizzate dai terroristi sia di destra sia di sinistra per far aumentare nelle persone comuni il senso di disagio, d’insicurezza, di impotenza e di sfiducia verso le istituzioni dello Stato democratico.

Culmine della lotta tra terroristi e Stato furono due eventi: il sequestro e l’uccisione dell’allora presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro, organizzato dalle BR a Roma tra il marzo e il maggio 1978, e la strage di Bologna del 2 agosto 1980, affidata ai neofascisti Francesca Mambro e Giusva Fioravanti, i cui mandanti, per ora, non sono mai stati identificati.

Chi ha favorito l’inquinamento dello Stato con le forze devianti, dittatoriali, che premevano fra gli anni ’60 e ’70?

Diversi soggetti, come la mafia (per difendere i suoi interessi economici e politici, soprattutto nel campo degli appalti pubblici e del traffico di armi e droga dopo che, nel 1981, il boss Stefano Bontade era stato ucciso dal giovane Totò Riina, capo emergente della mafia stragista di Corleone insieme al cognato Leoluca Bagarella e a Bernardo Provenzano) e la massoneria (soprattutto la loggia P2, guidata dal faccendiere aretino Licio Gelli), istituzione di liberi pensatori laici fondata nel Settecento illuminista che, nell’Italia degli anni ’70, fu luogo di compromessi tra politici, magistrati, giornalisti e imprenditori che volevano fare in fretta carriera; la banda della Magliana (gruppo criminale fondato ed operante a Roma con l’obiettivo di corrompere politici per favorire i traffici illeciti di armi e droga, oltre al riciclaggio di denaro sporco di provenienza mafiosa); lo IOR, ovvero la banca vaticana, che negli anni ’70 e ’80 divenne uno dei simboli del riciclaggio del denaro mafioso e che venne coinvolta in traffici illeciti da monsignori spregiudicati (Paul Marcinkus) e da banchieri corrotti (Michele Sindona, Roberto Calvi); i politici di centro, estrema destra e di estrema sinistra, che gettavano discredito sulla controparte per estrometterla dal governo; i neo fascisti presenti nelle istituzioni repubblicane (esercito, servizi segreti, polizia e carabinieri), che volevano ottenere uno stato permanente di repressione delle sinistre parlamentari ed extraparlamentari.

Da questi strani – e per certi versi ancora poco chiari – intrecci nacquero i delitti più eccellenti degli anni ’80: la morte del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa (1982), ucciso dai mafiosi dopo soli 100 giorni come Prefetto di Palermo; l’uccisione del giudice Rocco Chinnici (1983), maestro dei giudici Falcone e Borsellino, capo della struttura antimafia della Procura di Palermo; l’assassinio in carcere, a Voghera, di Michele Sindona (1986), la morte del politico democristiano Salvo Lima (1992) e dei magistrati Falcone e Borsellino (1992), persone che probabilmente sapevano troppo del connubio fra politica e mafia e che vennero soppresse prima che ne parlassero pubblicamente.

In concomitanza con l’attacco mafioso allo stato (causato dall’inizio del Maxi processo a Palermo, coordinato dai pubblici ministeri Falcone, Ayala e Borsellino tra il 1986 e il 1992), a Milano nel 1992, con l’arresto di Mario Chiesa (membro del partito Socialista Italiano), iniziava la stagione dell’inchiesta Mani pulite, condotta dai magistrati Gherardo Colombo, Antonio Di Pietro e Piercamillo Davigo, che smascherò il sistema di tangenti che venivano ordinariamente pagate ai politici di ogni colore per favorire l’aggiudicazione di commesse o per ottenere appalti pubblici. La persona che, più di tutte, subì il contraccolpo delle indagini fu l’allora segretario del partito Socialista italiano Bettino Craxi, già presidente del consiglio tra il 1983 e il 1987, che andò in esilio in Tunisia per evitare la carcerazione e vi morì nel 2000.

3 Commenti

  1. Articolo interessantissimo a cui, se può interessare, vorrei affiancare un mio articolo musicale sui fatti da te descritti, evidenziando però, fin da ora, che spesso si tratta di artisti spesso politicamente schierati.

Rispondi a Manolo Ronzino Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *